arte

Willy Pontin - Xilografia

Un diario visivo della memoria
Nella vicenda espressiva di un artista, specie se nel pieno della maturità, vi sono alcuni particolari momenti, o occasioni - una mostra selezionata, la pubblicazione di un catalogo motivato - che inducono inevitabilmente alla riflessione ed ai ripensamenti sulle scelte ideative messe in atto nel tempo e sulle opere realizzate nel corso degli anni. Con esiti che possono essere anche sorprendenti, e a volte perfino deludenti, perché queste riflessioni hanno a che fare con le differenti situazioni ambientali che l’artista ha vissuto nel tempo, in relazione con i luoghi visitati, gli spazi abitati, le conoscenze acquisite e le persone incontrate. Elementi che, ciascuno con le sue particolarità, hanno certamente influenzato, e forse addirittura determinato, i personali modi espressivi dell’artista e la declinazione formale della sua proposizione poetica ed immaginativa. Tutto ciò è chiaramente leggibile e comprensibile nella selezione di opere grafiche di Willy Pontin, realizzate all’incirca negli ultimi trent’anni, che vengono ora presentate in questa mostra veneziana.

Il mondo immaginativo di Willy Pontin è non a caso alimentato dalle visioni di luoghi per lui estremamente significativi, Venezia sopra tutti, ripetutamente evocata con diversi pretesti ideativi, ma lasciando a volte affiorare, però, anche frammenti di memoria di luoghi veneti particolarmente amati come Villa Malcontenta,il porto di Caorle o Marostica. O, in una continuità emotiva segreta, luoghi più lontani come Praga e il Teatro greco di Taormina. Parrebbe a prima vista delinearsi un’opera che potremmo definire di veduta che tuttavia, pur avvalendosi di una rigorosa concezione della geometria architettonica, non risulta mai descrittiva e realistica. Al contrario le visioni di Willy Pontin, forse per la sovrapposizione dei particolari che egli spesso mette in atto, appaiono per certi versi “narrative”, e vivono all’interno di un mondo fantastico, particolarmente esaltato con il ricorrente inserimento di una sorprendente, misteriosa e seducente figura femminile.

Una figura che appare evidentemente centrale nell’immaginario e nell’opera di Willy Pontin, a partire dai primi anni Novanta, ed alla quale a volte ha perfino dato una identità come, per citare solo alcuni esempi, “La castellana” nel 1997, “L’asolana” nel 1998 e “La marchigiana” del 1999.

Una notazione particolare va riservata inevitabilmente ai procedimenti tecnici di cui
Pontin si avvale nell’ambito della cosiddetta grafica d’arte. Innanzitutto quelli della calcografia, l’acquaforte e l’acquatinta in particolare, procedimenti di cui l’artista sembra avere la più completa conoscenza, riuscendo a trarne i segni descrittivi più limpidi e le graniture più sensibili ed evocative nei chiaroscuri. L’utilizzo di questi procedimenti ha caratterizzato l’opera grafica di Willy Pontin dagli esordi fino ai nostri giorni anche se, credo a partire dal 2013, nel suo bagaglio espressivo è entrata prepotentemente anche l’incisione su legno, la storica xilografia. Apportando un forte mutamento visivo alla proposizione delle sue immagini, sia da un punto di vista descrittivo che da quello più propriamente formale. Nella xilografia le figure, gli oggetti e le strutture architettoniche perdono l’essenzialità del segno inciso e si affidano invece a più larghe campiture di colore. In particolare la mitica figura del nudo femminile persiste ma acquista un peso diverso nella struttura dell’immagine assumendo una valenza certamente più misteriosa e forse più simbolica. Confermando tuttavia lo stesso concepimento ideativo dell’opera, la stessa strutturazione compositiva, ordinata ancora con la sovrapposizione degli elementi, consentendo così, ad esempio, alla figura femminile di apparire sulla tessitura di memoria di una città o di una visione di barche a vela.

Una nota critica così breve, su di un’opera complessa come quella di Willy Pontin, necessita una sorta di epilogo esplicativo che nel suo caso, può essere racchiuso nella considerazione che il suo diario visivo, come l’abbiamo definito, configura alla fine, nelle sue evidenti intenzioni poetiche e formali, una vera ed autentica “opera fatta ad arte”.

Venezia, marzo 2019
Enzo Di Martino

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